Prima che la Jugoslavia finisse by Giovanna Tesser

Prima che la Jugoslavia finisse by Giovanna Tesser

autore:Giovanna Tesser [Tesser, Giovanna]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Infinito
pubblicato: 2019-12-14T23:00:00+00:00


Erano in cammino da quasi due ore e non avevano incrociato nessuno. “Non mi piace, non mi piace per niente”, disse Luigi.

“Non preoccuparti. Sono solo le sette del mattino”, rispose Ivan serafico, assecondando il dondolio del carro sul quale stavano viaggiando.

Scorsero due figure: “Ehi, sono due donne!”.

“Attenzione, caricate le armi, non vorrei fosse una trappola!”.

Il carro si fermò.

“Ehilà!”, disse una delle due.

Avevano entrambe una cesta colma di patate.

“Stiamo andando a Buie per vendere queste”, disse l’altra.

“È pericoloso”, replicò Ivan torvo.

“Non credo possa succederci niente. Nulla più di quanto sia successo, intendo. L’anno scorso abbiamo temuto di non farcela. Continuavano a requisirci il cibo. Poi abbiamo capito, bastava dar qualcosa in cambio” e si indicò in mezzo alle gambe. L’altra rise, buttando indietro la testa.

“Vi siete vendute ai nazisti?”, urlò Ivan.

“Ehi, compagno, calmati”, fece una, notando il fazzoletto rosso spuntare dalla giacca.

“Sì calmati – disse Paola –. Da dove venite? Che ne è del resto del villaggio?”.

“Da Tribano. I tedeschi sono scappati, anche gli italiani. Ci sono dei partigiani, aspettano. Notizie da nord, aiuti da sud. Intanto stanno un po’ da noi e un po’ a Buie. Non ci siamo vendute, abbiamo solo cercato di sopravvivere… non so se puoi capire…”.

“Scusami”, sussurrò Luigi.

“Salite con noi. Faremo la strada insieme”, propose Paola.

“Qualcuno pagherà per quello che siete state costrette a fare”, sibilò Ivan.

“Vorrei crederlo”, disse una delle due, salendo sul carro.

Arrivarono in paese all’imbrunire. Nonostante facesse ancora freddo, già si percepiva l’aria primaverile, e le giornate erano più lunghe.

Paola aveva pensato molto al suo paese natale quand’era in Italia. Dopo la morte di Mirko, rivedeva continuamente la sua infanzia. Ora che si trovava lì si sentiva un’estranea; si stupì di non provare alcuna emozione. Disse ai suoi compagni di viaggio che sarebbe andata alla tomba del padre. La notizia della sua morte l’aveva avuta dalle sorelle. In fondo, non riusciva a provare dolore per suo padre; si rese conto di averlo solo sempre temuto, mai amato. Attraversò il paese a passi svelti, inciampando sui ciottoli che credeva di conoscere a memoria; lasciandosi alle spalle i campi abbandonati entrò nel cimitero. Due vecchie stavano lucidando una tomba, le teste chine sulla pietra; non si voltarono al suo passaggio. Paola si guardò intorno: la fila di cipressi ondeggiava al timido vento, i muretti a secco delle proprietà occhieggiavano indifferenti. Visto da lì, il paese sembrava una conchiglia: le case addossate l’una all’altra quasi a proteggersi.

La tomba di suo padre aveva un aspetto trascurato: muschio sui bordi, gli ovali della foto resi opachi dalla polvere. S’inginocchiò più per abitudine che per convinzione, figlia e madre allo stesso tempo. Pianse per ciò che era stato, pianse per Mirko: “Ti porterò qui con me”, gli promise.



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